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Camminare nella musica. Ciao, Roberto

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14.8_1024x1024Ciao Roberto, ho letto quello che hanno scritto su di te, ora che te ne sei andato via; tutti parlano della tua musica in bianco e nero, anche io ne ho parlato, come si faceva a non parlarne, è stata la tua vita, la musica da vedere, è stata la tua passione umana e professionale.

Ma io, adesso che posso solo scrivertelo, penso a quel libro di cui abbiamo parlato insieme, che con la musica parrebbe non aver nulla a che fare, quel libro uscito cinque anni fa, che non è neanche un libro canonico, sembra un quaderno, cucito col punto metallico.

Un libro di alberi, di ciottoli, di rami, di greti di fiume e di aghi di pino, un libro che ho capito solo quando sono venuto a trovare te e Silvia, nella casetta che avevate su in Tesino, era un giorno d’estate ma pioveva, faceva perfino freschetto, e la pioggia esaltava i profumi del bosco e suonava la colonna sonora del paesaggio.

E si parlava di noi gente di pianura che ama le alture, di te ravennate di montagna, ma non toccammo il punto: che in quel libro avevi messo la chiave del tuo lavoro.

Lo avevi chiamato Winterreise, ci tenevi moltissimo. Significa: viaggio d’inverno. Ed è quello che promette: una passeggiata sola e pensosa sui sentieri che invitano a pensare, la montagna è una fabbrica di pensieri.

Naturalmente, la musica c’è. Winterreise è il titolo di un ciclo di lieder di Franz Schubert. Non ti ho mai chiesto se amavi la musica classica quanto il jazz, mi avresti risposto che non c’è differenza di stato, solo di modo.

Leggo che Schubert lo compose un anno prima di morire, ovviamente non poteva saperlo, ma quel viaggio così diventa un altro viaggio più trascendente, e il wanderer, l’uomo che ama camminare, diventa una metafora.

Ma la musica c’è, anche dentro le fotografie. Soprattutto dentro le fotografie. È uno di quei libri che ti sconcertano dopo averli sfogliati la prima volta. Perché li sfogli cercando qualcosa che non trovi, il momento alto, l’istante decisivo, l’evento, il culmine in cui tutto si allinea eccetera eccetera, secondo i cliché così arbitrari e imperiosi della fotografia classica.

Arrivi alla fine delle pagine e capisci che cercare ti ha impedito di trovare, e torni indietro, e la seconda passeggiata finalmente ti fa vedere, ti fa capire. Che non riuscivi a vedere il bosco perché ci sono in mezzo tutti quegli alberi, come diceva la battuta.

Che il bosco è uno spartito che nessuno ha scritto, ma non per questo manca di senso, di ordine, di andamento. Che nel bosco puoi seguire un sentiero ma fare anche una deviazione, tornare indietro, perderti.

E sento lo scricchiolio dei rametti sotto lo scarpone, e quel particolare rumore che fa la neve fresca quando la pesti, e la chiacchiera del torrente, querulo e logorroico.

Ricordo, parlavamo di come si fotografa la musica, che è come dire: come si beve la luce del sole. Mi rispondevi che la musica si fa col corpo, con la materia plasmata negli strumenti, e quindi la musica ha corpo e materia, cose che si possono fotografare.

Sì, dicevo io, ma è come il mistero dell’icona bizantina: posso dipingere Cristo, la non la divinità. E tu paziente mi dicevi che la fotografia non deve replicare la musica, deve raccontarla.

Tu lo hai fatto per mezzo secolo, da quando ti facesti prestare la Rollei di papà per fotografare il Bologna Jazz Festival. Hai conosciuto tutti, hai lavorato con tutti, hai fotografato tutti, come si fa a dimenticare quella tua serie, You Turned the Tables on Me, un’altra allusione, era uno standard jazz degli anni Trenta, vero?

Ma il tuo era un tavolino vero, tondo, di ferro a tre piedi, e li hai messi tutti seduti lì, i tuoi musicisti, come invitati al tè, o forse a una seduta spiritica? Adesso esce un tuo libro su Franco Battiato.

È rimasta in sospeso quella chiacchierata che dovevamo fare sulle copertine dei dischi. Un’arte speciale, un’arte meravigliosamente ibrida, l’arte di confezionare la musica come oggetto che espone una immagine. Ne avevi fatte tante, ne avevi anche scritto, avrei voluto farne qualcosa con te, magari un libro.

Ma adesso ti lascio andare, la passeggiata nel bosco ti aspetta. Copriti bene che questa primavera è fredda.


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